IL RITMO ANCESTRALE ED IMPREVEDIBILE DI KARU

Intervista ad Alberto Brutti fresco dell'album "An Imaginary Journey" su Beat Machine Records

by Ricky FK

 

Anche in Italia abbiamo la nostra scena jazz basata su nuove realtà, fresca e importante, fatta di nomi e collettivi che da un paio d’anni girano parecchio forte. A Beat to be sapete quanto gli è cara questa nuova generazione di musicisti e quanto nutre rispetto per chi fuori dal conservatorio si lancia in una vera e propria sfida quotidiana nel mondo della musica, considerando che il genere al momento gode di ottima salute ma rimane pur sempre una piccola bolla. Tra questi interpreti c’è il contrabbassista Alberto Brutti con il suo progetto di jazz contemporaneo KARU fresco del suo album An Imaginary Journey su Beat Machine Records, label milanese che resta costantemente sui nostri radar. KARU si imbarca in un viaggio psichedelico che attraversa i territori inesplorati della composizione jazz: Alberto orchestra con abilità passaggi di basso densi e profondi, vivacizzati da beat di sax scintillante, percussioni dal timbro suggestivo e melodie che ci accompagnano nell’album creando un’atmosfera spirituale in cui l’ascoltatore stesso sperimenta molteplici culture attraverso canti, rituali e la forza dell’immaginazione. Insieme alla sua band e ai synth di Matteo Castiglioni nascono le sei tracce di An Imaginary Journey disponibili anche su vinile che potete acquistare QUI, noi nel frattempo abbiamo raggiunto Alberto per un intervista e soddisfare la nostra e la vostra curiosità.

 

 

Ci racconti un po’ dei trascorsi musicali di Alberto ?
Sono cresciuto in una famiglia in cui la musica ha sempre caratterizzato le nostre giornate, se ne ascoltava tanta in casa, io e miei cugini eravamo sempre alla ricerca di musica nuova da ascoltare. Gruppi come Pink Floyd, Beatles, Pino Daniele hanno influenzato tantissimo i miei ascolti da bambino. Il mio approccio pratico è iniziato con il basso elettrico, ci ritrovavamo con gli amici a suonare un pò di tutto, a formare le prime band. Quel periodo è stato fondamentale, mi ha fatto capire quanto fosse importante l’interazione con gli altri musicisti, il confronto e la pratica quotidiana di un’arte che a quel tempo era ancora tutta da scoprire. La mia crescita come musicista è arrivata con il contrabbasso con il quale ho intrapreso gli studi al Conservatorio, è uno strumento che ha bisogno di tanta pratica e disciplina per essere assimilato bene nelle sue varie sfumature, questo mi ha dato modo di approfondire i vari rami della musica dalla classica al jazz fino ad arrivare alla musica elettronica e elettroacustica.
 

La composizione di An Imaginary Journey come nasce ? Ci sembra tutto molto spontaneo al limite dell’improvvisazione, in linea con quello a cui ci hai abituato fin dalle prime release… in realtà è cambiato qualcosa nel modo di produrre ?
An Imaginary Journey nasce durante il periodo pandemico e vuole raccontare semplicemente un trip personale, dettato dall’impossibilità di viaggiare di quel periodo. Mi sono immaginato luoghi e sensazioni per poi tradurli in un pensiero musicale. L’elaborazione nasce dalle jam con i musicisti, poi trattate con Ableton e Max Msp. Con entrambi i software ho cercato di lavorare più sul lato elettro-acustico, prima campionando le nostre sessioni di registrazione e poi approfondendo gli esperimenti con modifiche elettroniche, creando patch di sintesi e ‘live electronics’. An Imaginary Journey è nato da questo processo: campionare le nostre sessioni, poi elaborarle creando patch in Max e infine editare il tutto con Ableton. In situazioni live cerchiamo di riprodurre i suoni che escono da questi editing in modo analogico, è un processo complicato ma molto stimolante.

 

Complimenti per la scelta della linea grafica tenuta in questi anni, le release su vinile poi sono sempre curatissime e in tutto questo l’apporto di Beat Machine Records è una garanzia. Chi c’è dietro gli artwork di Karu, il messaggio che arriva esternamente è effettivamente molto tribale/etnico in linea comunque con le tue passioni e la tua missione musicale.
Grazie mille merito soprattutto dei ragazzi di Unolab studio. Fin da subito io e Beat machine abbiamo cercato di creare un’identità grafica di Karu, il concetto della maschera è nato proprio per dare un volto al progetto e creare una sorta di personaggio mitologico e tribale. I ragazzi di Unolab sono stati bravissimi a tradurre in immagini quello che avevo in testa, soprattutto per la copertina di questo ultimo disco.

 

 

La tua band con Mario D’Alfonso al Sassofono, Andrea Di Nicolantonio alla Chitarra Elettrica e Cristiano Amici alla Batteria è pronta per il tour ? Noi non vediamo l’ora di vedervi anche all’estero in qualche venue di tutto rispetto, tu a cosa stai pensando per i prossimi live, come hai intenzione di settarli ?
Si sinceramente non vediamo l’ora di poter tornare a suonare sui palchi! Con i ragazzi stiamo cercando di implementare il live con nuove “chicche” e cercare di utilizzare anche dei visual, per trasmettere ancora di più l’immaginario della nostra musica.

 

Dal passato emergono i nomi di Mingus e Coltrane per quel jazz imprevedibile e tribale che caratterizza l’ascolto, ma nel presente c’è il nome di un jazzista, tra le varie scene molto attive del momento, per cui hai una preferenza ?
Diciamo che sono un grande fan di tantissimi progetti come: Moor Mother, Makaya Mccraven, Petter Eldh (Koma Saxo), Nala Sinephro, Ben Lamar Gay e tantissimi altri .

 

Antica Babilonia, Cina, Africa, Nuova Guinea… il tuo album è un girovagare per il mondo alla scoperta delle diverse culture tribali. Consigli per il nostro prossimo viaggio sulla terra e quello su vinile ? Un luogo e un ascolto che ci consigli e ovviamente il perchè.
Come scritto in precedenza, “An Imaginary Journey” nasce dall’esigenza di viaggiare, ho cercato di decifrare in musica dei luoghi che mi creavo in testa, alcuni reali altri totalmente immaginari! Uno dei luoghi dove vorrei perdermi al suo interno è il sito archeologico di Petra in Giordania, posti di quel tipo ti danno sensazioni inedite, vivi un’epoca che non ti appartiene.
Invece un disco che mi ha letteralmente stregato è Space 1.8 di Nala Sinephro, album stupendo! Consiglio vivamente

 

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