L’ALBUM “MAREA” RACCONTATO DAI THINKABOUTIT E’ ANCORA PIU’ BELLO

by Ricky FK

Marea – Cover

 

Una marea di urban, post-rock, modern jazz e musica tradizionale dell’area mediterranea, così possiamo semplificare le sonorità che i Thinkaboutit alternano nelle sedici tracce dell’album. Un lavoro complesso fatto di ricerche sonore e passaggi in studio durati circa due anni, una passione forte e molto coraggio hanno fatto di “Marea” un grande album che i ragazzi della band ci raccontano traccia per traccia. Ci eravamo occupati di loro fin da subito, fin dai primi singoli “Arturo Gatti” e “I Fly High”, dopo l’uscita di “Marea” scopriamo che abbiamo ancora più motivi per avere tanta stima dei Thinkaboutit… e poi chi dedica un pezzo a Derrick Rose non puo’ che meritare tutto il nostro interesse e rispetto !

 

LEAVE THIS PLACE
“Grab your dream and drive away”.
Vai via, questa terra non è buona per te, non ti merita. Abbandonare le proprie usanze, il proprio mondo per andare via spesso sembra l’unica soluzione. “Leave this place” è lo scontro tra chi dice di vivere altrove e chi invece vuole rimanere, a tutti i costi perché se tutti i buoni vanno via il male è destinato a trionfare. Alla prima strofa si contrappone con forza la voce di chi vuole rimanere e costruire mura ancora più spesse e strade ancora più larghe. Il territorio, il viaggio, l’appartenenza. La prima traccia si presenta come chiave di lettura di tutti i temi presenti nel disco.


ARTURO GATTI
Primo singolo dell’album, prende il nome dal pugile italo-americano Arturo Gatti, morto suicida dopo aver vinto tutto. La debolezza e la fragilità interiore sono i temi del brano. Spesso siamo spaventati nel mostrarci giù perché pensiamo sia sbagliato perché dobbiamo far vedere che siamo forti. “I hope you don’t mind if I cry a little”.
Arturo Gatti qui è il simbolo della dicotomia che ognuno di noi quotidianamente vive: forza e debolezza. Sta a noi decidere da quale parte stare e come reagire alla vita. Tutti siamo Arturo Gatti, tutti siamo su di un ring.


HE CAN DO IT
Prima traccia strumentale del disco, “He can do it” sposa l’elettronica ai suoni analogici del sud. Il mediterraneo che sa di essere nel 2020 ma che sa anche di dover valorizzare il proprio passato per essere vero e coerente.


TOKYO
Postiamo una foto ma non ricordiamo più i momenti. Utilizziamo meno di 140 caratteri ma non condividiamo per davvero. Andiamo in posti diversi ma siamo troppo impegnati a dirlo agli altri piuttosto che viverli davvero. “Tokyo” invita a rivedere tutto, ogni nostra concezione e a ritrovare una connessione più forte con noi. “I’ve got an hashtag for everything, but I never told by dad how much I love him, I never told my momma how much I miss her”.
Spesso siamo troppo presi dalla dimensione sociale che ci dimentichiamo di cosa è veramente importante.


I FLY HIGH
La vita di chi non ha nulla e vuole tutto e di chi ha tutto ma non punta a niente. Un confronto analizzato nel testo che pone l’attenzione sulla si difficoltà nel raggiungere le cose ma anche nel maggiore apprezzamento una volta raggiunto l’obiettivo, poiché diventa il simbolo di sacrifici, difficoltà. Chi non punta in alto ed ha tutto pronto spesso non affronta la vita, o meglio, la vita non gli passa attraverso come dovrebbe. Chi ha tutto in realtà non prova tutta la gamma di emozioni della vita. Per apprezzare l’altezza, bisogna aver avuto esperienza del basso. “I fly high” rappresenta il tenere la testa alta nonostante tutto, sapendo che, alla fine, chi non ha nulla vive davvero a pieno.


US
Sappiamo di sbagliare, di prendere decisioni difficili ma non ci interessa, anzi è un nostro valore aggiunto e questo lavoro ne è la prova. ‘’We always fuck it up, we always try it up, never followed the lead, you can’t tell us nothing’’.
“US”, con l’aiuto della talentuosa Angela Esmeralda, è un inno al cambiamento senza aver timore dell’errore. Sonorità d’oltreoceano ed elettroniche si mischiano con le chitarre e le armonie mediterranee. “US” siamo noi e non potete dirci niente.


ADRIATICO
Un’onda che va, un’onda che viene. “Adriatico” è la brezza marina che ti coglie impreparato. Un continuo, un climax, un crescendo di sonorità che è pronta a travolgere chi la ascolta. Le voci soffiano forti e si intrecciano con gli strumenti. “Adriatico” è il cullarsi tra le onde, il lasciarsi andare.


PROXIMA
Unica ballad del disco. Sonorità distese, calde e comode, un po’ come l’essere sdraiati su di un prato a guardare le nuvole mentre il sole ci inonda. L’amore è il leitmotiv del brano. Nuvole, montagne, prati, onde: tutti elementi naturali che rimandano ad un legame affettivo, elementi naturali che sono ritrovabili ovunque, rendendo un particolare, universale.


2008
Il sud, il mediterraneo, il ritmo incalzante al confine tra una tarantella e una pizzica. 2008 sono i colori che ci
circondano e che hanno rappresentato l’incontro tra Vincenzo e Stefano, duo fondante e originario dei THINKABOUIT. Chitarra e batteria, armonia e percussione, apollineo e dionisiaco. Intreccio perfetto e classico che abbraccia tutto il tematismo dell’album.


WE DON’T
Brano ambiguo nel quale si lascia la scelta del significato all’ascoltatore. “We dont’ really live at all” o “We don’t really leave at all”?
Cosa viene cantata nella traccia è scelto da chi l’ascolta. Una riflessione profonda sul partire, sul credere di provenire da un posto geografico circoscritto senza tener conto che la terra sotto i nostri piedi è solo una. Partiamo, ma dove andiamo? E se intraprendiamo il viaggio siamo sicuri di lasciarci tutto alle spalle? E quanto possiamo dire di vivere veramente se continuiamo ad essere incastrati nella stessa routine? Quali esperienze ci fanno sentire veramente vivi?
“We don’t” rappresenta una tela bianca, sta all’ascoltatore dipingere il giusto quadro. La voce fredda e struggente di Edoardo Partipilo straccia il brano sul finale, come un graffito che allarga la ferita.


WE NEVER
Notte, stazione dei treni, marciapiede e macchine che sfrecciano. Un film in bianco e nero che racconta quanto sia un’esperienza intima stare da soli, con se stessi, quando cala l’ombra sulla città metropolitana. I The Pier incalzano e accompagnano il brano, aggiungendo dinamicità. Un inno a fare le cose con le persone giuste per poterne godere al meglio.
“We never really spleep at night, our mind is always on the grind”, il chi dorme non piglia pesci 2.0.


WE ARE ALL DORO
Pezzo scritto per chitarra ma riarrangiato per un piccolo ensamble orchstrale da Luigi Morleo e Stefano De Vivo. “We are all Doro” narra il punto di vista di Doro, migrante a bordo della SeaWatch3. Una sineddoche che parte dal nome e punta a cantare il dilemma dei naufragi, delle traversate dal punto di vista di chi li vive.
“Sky and sea, two kind of blue, looking up for God while he looks away from me’’.
“We are all Doro” è un brano potente e pregno di significato che mira a dare voce a chi non ne ha.


PARLESIA
Parlesia è strettamente collegata ad Apollo. Le due tracce giocano insieme, come se fossero una corrispondenza scritta tra la terra d’origine e chi ha dovuto lasciarla. In questo brano a parlare è la prima, che sottolinea quanto sia innegabile il legame che si ha con la propria città, con la propria cultura e quanto tutto ciò sia determinante nella formazione di un individuo. La terra, in questo caso, quasi si appropria del destino di ogni suo figlio, sostenendo che, alla fine del nostro viaggio su questo mondo, comunque torneremo a lei, alla terra. La seconda parte del brano si apre con un cantato in Napoletano. Il cantante essendo di origini partenopee, ha voluto omaggiare e sottolineare questo vincolo cantando in dialetto. Ed è proprio qui che si sente la terra gridare ‘’Dove vai? Non sei nessuno senza me’’. Una sorta di riconoscenza, di omaggio, di presa di coscienza. Il tutto è accompagnato dal piano di Mario Nappi, pianista, anche lui napoletano. Il brano prende il nome dalla lingua segreta dei musicanti napoletani. L’ennesimo rimando al legame che si ha con la propria terra.


APOLLO
Questo brano è la risposta a Parlesia. Chi se ne va scrive una lettera alla propria terra nella quale affida tutti i suoi ricordi. In questo caso sono le immagini che automaticamente riportano al luogo d’origine. Gli odori, i colori, il pane la domenica, l’amore incondizionato dei propri cari, tutto ciò rappresenta l’aver lasciato la propria terra. Il viaggio è visto come elemento di crescita e di evoluzione. Il titolo deriva dal nome delle varie spedizioni della NASA, alcune sono state fallimentari, altre invece hanno raggiunto l’obiettivo. Qui non vi è un numero a rappresentare quale spedizione sia perché come si canta nell’esplosione finale ‘’I’m on my Apollo, I hope I don’t fail’’. Non è mai facile andare via, prendere decisioni, sta a noi fare in modo che tutto vada così come noi vogliamo. Nella traccia è presente Maelys, giovane artista pugliese che accompagna soavemente lo svolgimento della traccia.


TIMBERWOLVES 25
Quattro minuti di solo di basso, una linea melodica che recita una poesia continua, eterea, elegante. Il brano rende omaggio a Derrick Rose, ex giocatore della squadra NBA dei Timberwolves con la quale giocava con il numero 25. D-Rose era una promessa cestistica che ha militato per i primi anni nei Chicago Bulls ma a causa di una serie di infortuni è stato dato per finito. Ritornato sul campo ha dimostrato a tutti, ma soprattutto a se stesso, che così come si cade ci si può rialzare, segnando 51 punti e piangendo come un bambino uscendo dal campo. ‘’I rise and I fall, what you want from me?’’ un mantra, il sapere di essere fragile rappresenta anche la possibilità di diventare più forti. È tutto un trovare l’equilibrio sul confine molto labile.


LAST SUNSET
La chiusura del disco, un outro evocativo, un tramonto violaceo: “Last sunset” si schiude all’orizzonte e rinchiude l’azzardo di un album interno. ‘’When I do it my way, I feel like a child that went to the moon and back’’: seguire il proprio istinto è sempre meglio ed è un viaggio all’interno di se stessi. Alessandro Cianci e Stefano Fiori hanno prodotto la traccia ed è stato bello averli incontrati durante il tragitto, ultima traccia si, ma non è l’arrivo.

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