DIGGIN – DONALD BYRD “ELECTRIC BYRD” BLUE NOTE 1970

by Dj Rocca

 

Per chi non conoscesse Donald Byrd e la sua sconfinata influenza sulla musica dei nostri giorni, basta citare che la sua carriera annovera collaborazioni con i nomi più grandi, da John Coltrane a Guru dei Gang Star, e tutto quello che ci sta in mezzo, nel corso di oltre mezzo secolo di gloriosa strada e creatività.

Mr Byrd è stato un trombettista jazz, ma soprattutto un compositore ed un insegnante che ha forgiato generazioni di musicisti, dal jazz al funk fino ad arrivare all’hip hop. Fu lui che lanciò la carriera di Herbie Hancock, come sempre lui creò il gruppo funk Blackbyrds, formato dagli allievi della sua scuola. La professione e la sua discografia si sono sviluppate tra gli ultimi cinquant’anni dello scorso secolo, e, come una spugna, ha saputo cogliere e fare suoi i cambiamenti di stili, le rivoluzioni tecnologiche e le sperimentazioni che hanno attraversato questo fervido periodo storico. Donald Byrd ha fatto di più, come Miles Davis, ha saputo dare la direzione ed ha dimostrato quanto il linguaggio jazz possa essere versatile, aperto e duttile su ogni genere musicale, una lezione che è stata d’esempio per le generazioni postume alla sua, come oggigiorno dimostrano i vari Robert Glasper, Thundercat, Flying Lotus e Kamasi Washington. Dopo avere rilasciato nei primi anni di carriera, numerosi album per label importanti del jazz anni ’50, nei successivi ’60 il Nostro si accasa alla Blue Note Records, ed incomincia a produrre un opera ogni anno, quasi a scandire temporalmente l’evoluzione di linguaggio che ha avuto quel benefico periodo storico. Troviamo quindi una serie di opere sempre più contaminate dal soul, dal funk, dal jazz spirituale, fino all’elettronica pionieristica, agli albori in quel decennio. In seguito ad ellepi divenuti fondamentali, non solo per la storia del jazz, ma anche per la bibbia del campionamento (citiamo ‘Blackjack’, ‘Slow Drag’ e ‘Fancy Free’), arriva l’album oggetto di questa rubrica: ‘Electric Byrd’, datato 1970. Quattro brani per tutto l’extend play, con tre a firma di Mr Byrd, ed eseguiti da una formazione stellare:  Airto Moreira, Hermeto Pascoal, Ron Carter e Pepper Adams, per citarne solo alcuni. Un vero e proprio combo aperto con percussioni, chitarra, quattro sassofoni, trombone, batteria e piano elettrico, suonato dal superlativo Duke Pearson, qui anche in veste di produttore. Pervade tutto un vero e proprio mix di strumenti elettrici ed acustici in perfetta simbiosi, con l’ausilio di linguaggi armonici arditi ed arrangiamenti che richiamano il passato come il futuro prossimo.

Apre il brano ‘Estavanico’, con sapori alla Duke Ellington in LSD, resi ancora più psichedelici dall’utilizzo massiccio del delay a nastro, trasformando inconsciamente l’atmosfera in dub, quando in Giamaica quell’approccio non era ancora nato. Il viaggio procede per i suoi dieci minuti in modo rilassato e caleidoscopico, una vera e propria evasione rilassata tra il jazz e l’onirico, con assoli di tromba, flauto traverso e sax in echo perenne.

La seconda traccia della prima facciata, ’Essence’, è più tradizionalmente swing, con Airto che introduce con il berimbau, e puntualizza qui e la con le sue magie percussive insolite. Una  cavalcata galleggiante ma con l’afflato tropicale che si mescola al blues più allucinato, sempre con il fluttuare fiabesco dei suoni in delay.

Arriviamo al primo brano della seconda facciata, che inizia con ‘Xibaba’, un futuro classico di Airto Moreira, un samba progressive che esordisce con la tromba in echo di Donald Byrd, e lascia successivamente spazio al tema suonato al fender Rhodes da Duke Pearson. Il ritmo si fa strada sottopelle, i fiati rinforzano la linea melodica ed arriva il divino Hermeto che stordisce con uno dei suoi genuini assoli al flauto. Siamo ormai nella dimensione irreale del jazz astratto e ritmico, quasi un ostinato che procede ipnotico grazie ad un altro memorabile assolo di Mr Byrd. Il brano termina con quasi cinque minuti di astrattismo free: psichedelia pura.

Conclude l’album il super funk ‘The Dude’, un robusto brano per i club che propongono il jazz da ballo. Otto minuti di energia, ed assoli più che coinvolgenti, dal sax tenore di Frank Foster, seguito al soprano da Jerry Dodgion ed in chiusura il trombone di Bill Campbell. Ottimo funky drum del potente Mickey Roker, che sostiene senza sosta il groove di questa traccia finale.

Un album con più di cinquant’anni alle spalle, che suona fresco ed ambizioso come non mai.

 

 

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