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Visita a Fellini 100, Genio Immortale. La Mostra

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Come ogni mostra che si rispetti la prima tappa è il “percorso biografico” dove, dalla nascita alla morte, vengono illustrati i momenti della vita personale ed artistica del regista. E’ impossibile ed inutile riassumere tutto in questo articolo ma ci sono alcuni punti che hanno attirato la mia attenzione: Fellini dal 1939 circa si trasferisce a Roma, non frequenta giurisprudenza come promesso ai genitori, ma comincia a scrivere gag per alcuni film di Macario, battute per nientemeno che Aldo Fabrizi e presentazioni radiofoniche per l’EIAR, Ente Italiano Audizioni Radiofoniche (l’EIAR è fattore costante anche della mia ultima lettura “Jazz e Fascismo” – Mimesis Edizioni – la quale chiarisce il ruolo della radio e della stampa discografica in Italia già dal primo dopoguerra).

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Altra peculiarità che mi ha solleticato è che, sempre nel 1939, Fellini viene ricevuto dall’allora segretario di redazione del bisettimanale “Marc’Aurelio” Stefano Vanzina, anche noto come Steno: ebbeni sì, il padre dei fratelli Vanzina è stato forse il primo ad accogliere Fellini nella capitale, nell’ambito di una pubblicazione satirica che raccoglieva le migliori testate umoristiche dell’epoca. Nel 1943 l’EIAR fa di nuovo capolino e diventa scenario di uno degli incontri più importanti, quello con la futura moglie Giulietta Masina che in quell’anno dava voce a Pallina, uno dei personaggi inventati proprio da Fellini.

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Nel percorso ci sono molte altre curiosità sulla portata autobiografica di alcune pellicole: dalla “fuga verso Roma” dell’aspirante scrittore Moraldo alla fine de “I Vitelloni”, alla statua del Cristo Lavoratore trasportata in elicottero come incipit de “La Dolce Vita”, scena ispirata da un fatto realmente accaduto nel 1956. E qui si apre un altro capitolo della rassegna, ovvero quanto il cinema Felliniano, seppur definito onirico ed ineffabile, fosse in realtà continuamente ispirato dalla vita reale, e soprattutto dai fatti di cronaca. Si spalanca il sipario sulla seconda parte (la cornice del castello malatestiano devo dire è tanta roba!) e tre megaschermi, suddivisi in due parti ciascuno, ripropongono alcuni spezzoni di film con accanto altrettanti cut di cinegiornali, fatti di cronaca ed interviste a gente comune che hanno innegabilmente influenzato l’opera felliniesque. Autentiche sedute da vecchio cinema permettono ai visitatori di assistere a questa visione di citazioni continue, quasi inaspettate per chi ha sempre reputato l’arte felliniana “ultra-dimensionale”, grottesca o surrealista: Fellini ci parlava in realtà, a modo suo, di vita reale e vissuta, o perlomeno delle atmosfere che la permeano. O era la realtà a permeare il sogno?

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Non a caso si dice che il giornalista-regista Gualtiero Prosperi, pupillo di Indro Montanelli, ideatore di svariati cinegiornali nel secondo dopoguerra, fondatore di “Cronache” (forse la prima pubblicazione scandalistica italiana) e regista del nostro amato “Mondo Cane” assieme a Franco Prosperi (e quindi fondatore indiscusso del “Mondo Movie” come genere cinematografico mondiale), abbia ispirato il personaggio di Marcello Rubini ne “La Dolce Vita” in quanto Prosperi era un verace mondano e giornalista particolarmente legato al gossip come forma di denuncia cruda di un boom economico che già mostrava la sua decadenza.

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ambiguo ma ansioso di rivelarsi vergognoso quando viene spiegato,
affascinante finchè rimane misterioso.” (F.Fellini)

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“Il libro dei Sogni”, consigliato dallo psicanalista Ernst Bernhard e disegnato interamente dal regista, e poi interviste, momenti celebrativi e tanto altro. Tuttavia la mostra non risulta “eccessiva” e alla fine del percorso si ha l’impressione che una sintesi intelligente abbia prevalso su tutto il progetto. Bene.

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Prima di tutto non ho visto alcun riferimento all’incredibile episodio “Toby Dammit” in “Tre passi nel delirio”, pellicola cult del 1968 suddivisa in tre episodi ed ispirata ai racconti di Edgar Allan Poe: all’epoca i tre registi coinvolti furono Roger Vadim, Louis Malle, e Federico Fellini appunto. L’episodio del regista riminese è l’ultimo e, come anticipa il titolo, è un delirio vivido ed autentico: l’arrivo dell’attore inglese “Toby Dammit” interpretato da uno strepitoso Terence Stamp, è cupo, ombroso, tormentato e viene ingurgitato da una roma grottesca, sconnessa, che non lascia scampo. Il contatto con l’occulto è regolarmente menzionato nella mostra (come ignorarlo? Sarebbe come ignorare il cinema di Fellini) ma non si attua mai un concreto richiamo alla frequentazione da parte del regista di circoli esoterici, voce che è in giro da decenni ma che a mio avviso meriterebbe un ulteriore approfondimento, oppure , al pari delle possibilità, una definitiva smentita.

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Fellini sapeva trasformare l’hybris italica in un fantastico motore per i suoi sogni. Non sono i sogni stessi vita? La disarmante sensazione che questa mostra mi ha comunicato in modo del tutto implicito è che oggi forse vogliamo trasformarci in ciò che non siamo: schiavi di paragoni europeisti e statistiche di ogni tipo oggi vorremmo “elevarci” a razionalismi teutonici e rigorismi nord europei che non ci appartengono culturalmente. La verità, in qualità di italiani, è che abbiamo rinunciato al contatto con le dimensioni “altre” , all’estro vitale e positivamente caotico, in poche parole, ad avere visioni.

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Anche per questi messaggi involontari la mia personale valutazione di “Fellini 100 Genio immortale” rimane di gran lunga positiva, soprattutto perché grazie alla sua sintesi descrive “la nebbia” di Fellini come trait d’union di tutta la sua poetica: un elemento cupo, anticamera di una sfera occulta, ma anche leggero, ironico e sognante. Attraversando le sale non permea una particolare rivendicazione nazionale o “proto-nazionalista” del regista: non è veramente importante che Fellini fosse italiano, incarnando egli stesso uno stile che smuove ancora oggi sfere legate al subconscio e che trascende qualsiasi fenomeno di protesta, realismo e denuncia.
Concludo questa corposa “special issue” di Night Movie con un piccolo tributo musicale a un tipo di cinema che mi ha letteralmente trasportato in mondi paralleli, racchiusi a loro volta in un mondo del tutto mio, locale, emiliano-romagnolo. Il mio amato jazz-ensemble Strata-Gemma dedica questo brano a “Lo Sceicco Bianco”, film che gioca ancora una volta con realtà e finzione, e naturalmente a Fellini, genio immortale.

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