“I DON’T LIKE MONDAYS”, THE BOOMTOWN RATS, 1979

by Lorenzo Del Canale

San Diego, California (USA), 29 gennaio 1979: la sedicenne Brenda Ann Spencer imbraccia il suo fucile semiautomatico regalatole malauguratamente dal padre appena un mese prima e, dalla finestra della sua cameretta, comincia a sparare all’impazzata verso l’entrata di una scuola elementare che si trova di fronte a casa sua. Muoiono due adulti e vengono feriti otto bambini. Al momento dell’arresto la ragazza, con una freddezza disarmante, dichiara ai poliziotti “Nothing’s happening today. I don’t like Mondays”. Dopo il massacro alla Bath School del 1927, questo episodio è ricordato come il primo massacro scolastico statunitense dell’era moderna, ben prima della sparatoria nel liceo di Columbine. Da quel tragico avvenimento Bob Geldof, leader della band irlandese The Boomtown Rats, ebbe l’ispirazione per comporre una delle canzoni più straordinarie dell’era new wave. A proposito della nascita di I Don’t Like Mondays Geldof racconta:

«Stavo facendo un’intervista alla radio con Johnnie Winters (tastierista della band) e c’era un apparecchio Telex di fianco a me. Stavo leggendo tutti i messaggi che arrivavano quando mi apparve la notizia della strage: mi sembrò dannatamente folle compiere un atto del genere con la sola scusa di non amare i lunedì. Continuai a pensarci mentre tornavo all’hotel e ad un tratto mi venne in mente la frase “il chip di silicone dentro la sua testa si è sovraccaricato”. Lo scrissi da qualche parte. E i giornalisti che la intervistavano dicevano “dimmi perchè?”. Non aveva davvero nessun senso. Era una cosa perfettamente senza senso e questa era la ragione senza senso per farlo. Quindi forse scrissi la canzone perfetta senza senso per spiegarlo. Non era un tentativo di sfruttare la tragedia».

I Don’t Like Mondays uscì come singolo il 21 luglio del 1979 e come b-side fu utilizzato il brano It’s All The Rage: in breve tempo raggiunse la vetta della classifica inglese e vi rimase ben salda per quattro settimane. Negli Stati Uniti invece, luogo della tragedia, fu molto più difficile affermarsi: la famiglia della Spencer osteggiò l’uscita della canzone e alcune radio si rifiutarono di trasmetterla per questione di rispetto. Inoltre era in corso un animato dibattito politico e pubblico riguardo all’estrema facilità con cui i cittadini americani (anche adolescenti) potevano procurarsi un’arma da fuoco; un problema che ancora oggi è motivo di aspre discussioni e risulta una delle più grandi piaghe del Paese. Per fortuna il rock è spesso più forte dell’ottusità della censura e I Don’t Like Mondays riuscì comunque a piazzarsi al 73° posto nella classifica di Billboard. Fu anche inserita come pezzo forte nel terzo album della band The Fine Art of Surfacing che uscì il 9 ottobre dello stesso anno. La canzone, come molti brani dei gruppi new wave prima dell’avvento del synth-pop, risente di una moltitudine di influenze: dal punk al mod revival passando per l’intramontabile beat di stampo beatlesiano. I Don’t Like Mondays presenta un ritmo schizofrenico, un ritornello incalzante contraddistinto dal martellante coro che recita “tell me why?”. Sugli scudi la voce graffiante di  Bob Geldof e la tastiera di Johnny Fingers. Il testo esterna riferimenti piuttosto criptici alla vicenda di San Diego e quindi è consolidata ancora oggi l’idea che sia una semplice canzone sul senso di disagio da parte degli studenti e dei lavoratori di alzarsi dal letto il lunedì mattina e buttarsi in una lunga e faticosa settimana. Molte radio la trasmettevano (e lo fanno ancora oggi) proprio il lunedì mattina per accompagnare con ironia il faticoso risveglio degli ascoltatori, aiutati anche dalla melodia piuttosto allegra della canzone. E scommetto che vi sarà sicuramente capitato di trovare l’amico brontolone che il lunedì la condivide sui social network, alternandola all’altro superclassico Blue Monday dei New Order. Il videoclip diretto dall’eccellente videomaker David Mallet, che all’epoca aveva già lavorato con i Queen, i Blondie e David Bowie, mostra una tipica ambientazione “british” e i membri del gruppo, il cantante in primis, ne sono protagonisti. Bob Geldof in seguito diventò celebre come l’ideatore (insieme a Midge Ure) del megaprogetto di beneficenza Live Aid sui cui avrebbe puntato forte, come insinuano alcuni maligni, poichè la sua vena creativa come musicista si stava esaurendo e i Boomtown Rats si erano ormai sciolti. Ma poco importa: riuscì a realizzare uno degli eventi più sensazionali della storia della musica e riuscì a replicarlo nel 2005 con il nome di Live 8. Ad entrambi gli eventi eseguì I Don’t Like Mondays (nel 2005 senza i Boomtown Rats), ma a risultare memorabile fu l’esibizione al Live Aid il 13 luglio del 1985, allo stadio di Wembley a Londra. Bob Geldof si trovò ad eseguire la sua migliore canzone, nel “suo” evento, con la sua band: non si fece tradire dall’emozione e riuscì a fornire una prestazione di altissimo livello. Quando pronunciò la frase della canzone “e la morale oggi è come morire”, Geldof fece apposta una pausa di 20 secondi: il pubblico comprese subito il riferimento a coloro che stavano morendo di fame in Africa e che il Live Aid stava cercando di aiutare e cominciò quindi ad applaudire fragorosamente, regalandoci uno dei momenti più emozionanti dell’intera manifestazione.

 

 

 

 

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