Per quest’appuntamento di Diggin ci spostiamo nella Francia della metà anni settanta. Il protagonista è un contrabbassista jazz che ha militato nelle scene più aperte alla sperimentazione, come in quelle più classiche, metabolizzando uno stile personalissimo che convoglia nei suoi primi due album in solitudine, cioè Amir e Varech. In entrambi gli album, la caratteristica fondamentale è che tutti gli strumenti sono suonati da una persona sola, cioè Henri Texier, da qui un uso massiccio della tecnica di sovra-incisione, che si trasforma in arte e permette vette creative impensabili. Una specie di one man band del taglia-incolla, che ricorda il modo di comporre da parte dei produttori dance odierni. Dal punto di vista del genere, non si tratta assolutamente di musica jazz ma bensì di un insieme di stili che creano un’alchimia speciale, tale da rendere attuali questi dischi, anche dopo quaranta anni esatti: folk, melodie arabe, country, sperimentazione, rock e blues si fondono in un unicum, e diventano brani stupendi. L’uso massiccio del contrabbasso, sia con l’archetto, che pizzicato, più la voce sovra incisa (sempre senza un testo) si combina in armonie sorprendenti, geniali per l’epoca, che talvolta ricordano passaggi poi ripetuti da un gruppo mainstream come i Nirvana, quasi vent’anni dopo. Si ascolti “Le Piroguier”, per esempio, e come meravigliosamente si manifesti un gioiello, con le sue perfette combinazioni ritmiche mai esagerate, solo evidenziate da un loop di contrabbasso, e un clap che fa da base a un’improvvisazione assoluta, dove ritorna il cantato del ritornello, che risolve in un giro armonico più che odierno.
Oppure lo stesso brano “Amir”, quasi stessimo ascoltando un Arthur Russel francese, ma più vicino al folk che alla disco, con ancora una volta il loop di contrabbasso che fa da tappeto ritmico a uno svolgersi magnifico di voce e archi. Nell’album Varech, di un solo anno dopo, Texier si butta anche sulle percussioni, e complica di un pelo le sovra incisioni, ma rimane con lo stesso stile, frutto di tante influenze. Ecco quindi che ci arrivano in faccia capolavori come “Les La-Bas”, “L’Elephant” o “Varech” stesso. Nella carriera successiva Henri Texier ha percorso territori più vicini al Jazz moderno, lasciando ai posteri i due capolavori “Amir” e “Varech”, come manifesti di libertà e freakettonismo musicale senza tempo.