Questa volta ci trasferiamo in Africa, più precisamente in Nigeria…terra piena di contrasti e di grande musica! Ovviamente non mi dilungo su personaggi chiave come Fela Kuti o William Onyeabor ma concentrerò il mio focus su un album, che per il sottoscritto, è stato il Santo Graal per almeno tre decadi. L’artista in questione si chiama Aleke Kanonu, e l’album porta il suo nome: “Aleke”. Poche notizie su Mr. Kanonu…si sa che ha lavorato con numerosi musicisti jazz americani nei ’70, e una testimonianza appare nell’album di Stanley Cowell su Strata East del 1976, dove Aleke canta e suona la Kalimba, poi la sua discografia si arricchirà di soli due titoli, l’album “Aleke” del 1980, ed un singolo nell’anno successivo.
Il genere dell’album è funk cantato in africano, funk asciutto e con influenze disco, ma il tutto impregnato di (in)volontario spirito jazz, con quattro soli lunghi brani, come fosse un ellepi di versioni extended per dee jay. La traccia imprescindibile è “N’Gwode”, una sorta di deep funk mistico: si apre con un giro di basso perfetto, che, quasi come un mantra indiano, si ripete assieme alle congas, sostenendo per dodici minuti il groove. Qualche riff di fiati per puntualizzare, ed ecco che arriva la fantastica voce di Aleke. Il testo è pressoché incomprensibile ma ritmico ed evocativo, come se fosse una poesia recitata e cantata in scat afro. Il tutto procede con il basso ostinato, ed il climax cresce, con giri di chitarra wah wah, stabs di fiati, scaldando la performance di Aleke che arriva fino alla fine della traccia senza avere minimamente arretrato di un millimetro. Tensione, funkiness e mistero.
L’altra traccia che personalmente preferisco è “Home Sweet Home”, dove la parte da padrone la fa un mitico Wynton Marsalis diciannovenne! Altri tredici minuti di brano che non stanca mai: assolo perfetto e mai ripetitivo del trombettista più dotato degli ultimi trent’anni, sorretto dal cantato afro-scat di Aleke, perfettamente calzante con i ritmi funk jazz.
“Keep New York Clean” è un’altra ottima traccia funk lenta, dove Aleke recita questa volta in lingua inglese, e l’ultima “Mother’s Day”, una ballata ritmica, sorretta da congas e pianoforte, dove Mr. Kanonu recita parole incomprensibili ma piene di pathos e ritmo.
Un album fantastico, irreperibile sulla label originale per almeno venti anni (se non a prezzi folli), ma fortunatamente ristampato e rimasterizzato lo scorso luglio 2016.