
Artemisia, “Giuditta che decapita Oloferne” (1620)
Questa è la terza ed ultima parte di un mio intervento per Brillo Blog (scusa Francesca per l’interruzione, da domani torni tu alla guida!).
Nei primi due post abbiamo parlato di artisti, di arte contemporanea, e della mia personale interpretazione di questa. Oggi non so bene dove andremo a finire, ma partiamo da qui:
Avete già letto il nuovo libro di Elisabetta Rasy “Le Disobbedienti”? Lo consiglio a tutti!
Un libro che parla di artiste, delle loro opere, delle loro storie e della storia che le ha spesso ignorate.
Tra i vari lavori citati, il dipinto di Artemisia Gentileschi “Giuditta che decapita Oloferne” (1620) mi è rimasto particolarmente impresso poiché non è un quadro, bensì un lunghissimo racconto. Qui è rappresentata solo una scena, ma c’è chiaramente un prima e un dopo: la forza del desiderio di vendetta è racchiusa nelle braccia di Giuditta, gli aneddoti della vita privata di Artemisia sono nei dettagli degli accessori, e nello sguardo fiero della protagonista c’è il suo passato e il suo presente.
Questo dipinto di per sé è un libro, ogni dettaglio è un capitolo, e i personaggi ritratti hanno ruoli e annesse altre storie.

Henri Matisse, Dance (1910)
Questa è una differenza molto importante tra l’arte “antica” e l’arte contemporanea, poiché nel corso del tempo i dipinti hanno cessato di essere libri, e, con le avanguardie artistiche sono stati decomposti per diventare prima pagine, poi frasi e infine lettere.

Frank Stella, “The Marriage of Reason and Squalor, II” (1959)
L’arte moderna ha preso le distanze dall’arte figurativa classica, gli artisti hanno creato una rottura da quelle storie ed illusioni, hanno iniziato a dire “una tela è semplicemente una tela, un colore è semplicemente un colore, una pennellata non può creare una persona, una pennellata è semplicemente una pennellata”. L’arte contemporanea voleva andare oltre la finzione, anzi smascherarla, per far risvegliare tutti dalle menzogne di Da Vinci e Michelangelo.

Lucio Fontana, Taglio
Quindi è normale che le persone davanti ad un’opera contemporanea pensino “WTF?”, “Potevo farlo anche io”, ma è proprio lo scopo dell’era contemporanea: svegliarci dalle illusioni, o drogarci di illusioni, in un periodo in cui viviamo per gran parte di queste -insomma scuoterci, per farcene accorgere.
Ogni opera contemporanea è la lettera di un alfabeto composto da migliaia di caratteri. Una lingua nuova e difficile da capire. Ma una volta che la comprendi, è un gioco stupendo, in cui puoi creare tutto ciò che vuoi. Puoi creare le tue personalissime parole!
Quando le persone chiedono che gli venga spiegata una singola opera, lo trovo difficile. Come si fa a spiegare una lettera? Come si fa a spiegare la “A” piuttosto che la “F”? Non si può…

Joseph Kosuth, “One and Three Chairs” (1965)
Fino ad oggi abbiamo parlato di artisti, ma le figure che ruotano attorno all’artista sono altrattanto importanti. I curatori, per esempio, si prendono cura di queste lettere, le espongono e le mostrano al pubblico – a volte creando una parola, a volte una frase, a volte lasciando lo spettatore nel puro caos. Si occupano di archiviare i lavori, e di tramandarli di generazione in generazione.

Exhibition view at the Hamburger Bahnhof in Berlin.
Insieme ai curatori, il collezionista è un’altra delle figure fondamentali. Il ruolo svolto dal collezionista è complicato e ci sono infiniti tipi di collezionismo, (presto uscirà un podcast di @OTTNProjects interamente dedicato a questo argomento, a cura di Erika Gaibazzi). Collezionare arte contemporanea significa avere un’ampia e profonda conoscenza del nostro tempo e di questo nuovo linguaggio. Avere una collezione significa prendere lettere e simboli sparsi per creare qualcosa che abbia un nuovo significato (per lo meno per sé stessi). Quindi in un certo senso il collezionista è artista, in quanto creatore. Una collezione di arte contemporanea, curata negli anni, conferisce alle opere un qualcosa di inaspettato: le opere, da essere lettere, tornano nuovamente parole, poi frasi e quindi libri.
Ad oggi il problema più grande per un collezionista è la mancanza di spazio, quindi molte opere vengono dimenticate in storage o garage. E’ un peccato, poiché ogni opera che va persa o non viene vista/conservata, è come una lettera che manca per decifrare l’alfabeto. Per questo progetti come il Digital Museum di Collecteurs sono importanti per la condivisione e salvaguardia delle opere nelle mani delle collezioni private.
E voi? Avete mai comprato un’opera d’arte contemporanea? E’ un gesto molto elettrizzante, e soprattutto utile per sostenere aristi emergenti!
Grazie Francesca di avermi ospitato nella tua rubrica, a presto!
Giorgia Ori
@OTTNProjects
#BrilloBlog
PS. Vi aspettiamo domenica 12 Maggio all’inaugurazione della mostra “ANATOMIA DEL VUOTO”. Più info qui:
https://www.ottnprojects.com